Il Viaggio di Arlo: la recensione del film d'animazione Pixar
Milioni di anni fa, in una Terra dove il meteorite che portò i dinosauriall'estinzione non è mai caduto, l'apatosauro Arlo è il più giovane di tre fratelli. Vorrebbe mostrarsi baldo e produttivo agli occhi del babbo Papo, ma la vita della fattoria non sembra fare per lui. Un terribile incidente, che costerà la vita a suo padre, lo allontanerà da casa: per tornare indietro farà squadra con un selvatico cucciolo di uomo, battezzato Spot, e imparerà qualcosa della vita.
Nell'anno di Inside Out la missione del regista Pete Sohn, autore di Il viaggio di Arlo, era di duplice complessità: non sfigurare dopo il capolavoro del collegaPete Docter e salvare un progetto semiabortito di Bob Peterson, confezionando un lungometraggio di qualità Pixar in soli due anni. A nostro parere è riuscito in entrambe le imprese, ma liberiamoci prima delle perplessità.
Il viaggio di Arlo colloca una tipica storia di amicizia tra uomo e animale sullo sfondo di alcuni stilemi narrativi ed estetici del western. Non è per questo un film banale, non è un remake di Alla ricerca della Valle Incantata (come si poteva temere dal trailer), ma i contrasti che così genera non bastano a rendere l'originalità sinonimo di perfetta riuscita. L'ambientazione fotorealistica, in alcuni casi stupefacente per dettaglio, stride con la caratterizzazione cartoon diArlo e del piccolo selvatico umano Spot (il rischio Dinosauri è dietro l'angolo). L'inversone di ruoli tra i due, con il dinosauro a fungere da umano e il bambino a fare le veci dell'animale, pare poi un modo piuttosto pretestuoso per infondere originalità in una storia che nel suo svolgimento ne ha poca. Lo scheletro picaresco del racconto non serve inoltre molto il naturale desiderio del pubblico di affezionarsi ai deboli comprimari, che nella maggior parte dei casi i protagonisti incontrano e abbandonano sul proprio cammino.
Dove Il viaggio di Arlo regge invece bene i colpi dello spirito critico è nellasincerità con cui capitalizza sulla quasi inesistente lettura metaforica, che invece era alla base di Inside Out. La semplicità e la credibilità delle reazioni, i comportamenti immediati dei personaggi, ferini e istintivi, possono essere la rivalsa di quei pochi che, delusi da Inside Out, gli imputavano una certa fredda macchinosità. Quando Il viaggio di Arlo spalanca l'immagine su panoramimozzafiato, quando Sohn spegne il parlato in favore di sospiri, silenzi, mimica esound design immersivo, allora il film riesce a creare un legame tenero tra autori e spettatori, non mieloso, ironico e severo: un fil rouge che, pure negli intoppi di cui abbiamo parlato, mantiene in vita un film tribolato ma condotto in porto con enorme onestà narrativa. E sul finale crediamo sia proprio quella a farci spuntare qualche lacrima, alla faccia del risaputo.
Recensione tratta da : www.comingsoon.it
Il Viaggio di Arlo: la recensione del film d'animazione Pixar
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