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Così le baby squillo si "vendono" su Facebook




L'ultima frontiera delle baby squillo è quella di Facebook. È il quadro che emerge dalle ultime inchieste sulla prostituzione minorile


Dall’inchiesta del gennaio scorso sulle teenager che sognavano la celebrità e che invece finirono a fare le escort sotto l’egida del sedicente pr Silvio Polettini, fino al caso delle ragazze doccia, le liceali che si vendevano nei bagni per pochi spiccioli. Se a Roma è il procuratore aggiunto Maria Monteleone a lanciare l’allarme "i procedimenti penali - spiega a IlGiorno - legati alla prostituzione minorile sono passati da 31 nel 2012 a 191 nel 2014", a Milano è la collega Annamaria Fiorillo (la pm diventata famosa per il caso Ruby) che deve spesso destreggiarsi sullo stesso scivolosissimo terreno. In cui il ruolo dell’inquirente diventa assai delicato. E in cui le doti umane contano quanto quelle inquisitorie.

Così, per cercare di capire chi siano queste, questi, baby squillo è da qui che bisogna partire, dalle parole di un investigatore: "Maschi e femmine non fa differenza. La classe sociale neppure. Idem la famiglia, la nazionalità, il livello culturale". Ma qui emerge un dato: "È sempre l’adulto a fare il primo passo, a corrompere". Secondo gli investigatori esiste dunque un vero e proprio sistema sommerso di uomini adulti che vanno a caccia di profili sui social network. Esattamente come faceva Claudio Tonoli con le sue vittime di Collebeato. Anche stavolta contano poco o nulla le differenze sociali o culturali degli adescatori. La tecnica è spesso la stessa, "come se esistesse un vademecum occulto dell’approccio". L’adulto si mostra "amichevole, capace di capire i bisogni o i problemi dell’adolescente". Le proposte sessuali, l’offerta economica arrivano "quando il livello di fiducia è consolidato". "A volte sono gli stessi ragazzini a coinvolgere i coetanei: da vittime diventano carnefici. Perché si fanno soldi facili e non sempre i teenager hanno la percezione della gravità di ciò in cui si cacciano".

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